A Proposito della scarsa attenzione per la recente scomparsa  del musicologo napoletano Rubino Profeta/Una lettera di Paolo Isotta

Il talento del precursore

IL MATTINO Mercoledì 9 gennaio 1985

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.

Caro direttore, consentimi, per cortesia, di esprimerti, da Milano, ove mi trovo il mio doloroso stupore per il modo con cui i giornali hanno affrontato un avvenimento, tristissimo non solo per me, come la morte del maestra Rubino Profeta. Una notiziola di poche righe nella pagi­na degli spettacoli. Davvero siamo diventati tutti di memoria corta, e la ricorrenza, tanto più nelle cose della cultura, è una cosa ormai scomparsa!

Rubino Profeta merita molto più che poche righe; e ti chiedo perciò ospitalità per puntualizzare brevemente che cosa gli dobbiamo noi, in quanto napoletani: e che cosa gli debba il mondo musicale, e il mondo musicale tutt'intero, non solo quello italiano.

Non ricorderò qui la sua attività di compositore, né quella di organizzatore musicale (per anni e anni egli è stato una delle colonne del San Carlo). Intendo soffermarmi solo su quella che nel modo più tipico l'ha caratterizzata: ossia di scopritore e di revisore di musica italiana dimenticata.

Oggi è facile parlare di questo argomento! E’ diventato pane quotidiano lippis et tonsoribus, e ne siamo ansi afflitti con un’invadenza e un’arroganza che fanno maledire il giorno in cui s’è cominciato: non sai più come difenderti dal Donizzetti inedito, dal Bottesini riesumato, dal Verdi riscoperto, dai comizi che certi personaggi ti tengono sul valore drammaturgico del Bel canto… (Non è colpa di Profeta, egli se ne doleva, e peraltro nelle sue scelte aveva avuto sempre equilibrio e criterio, mai fanatismo). Ma venti, ma trent’anni fa! Allora, datosi per acquisito (era stata scoperta dell’anteguerra) che il nostro settecento avesse degli allori da rinverdire, per il secolo successivo le cose stavano in modo molto diverso: da una parte c’era tutta una retorica alla “pane, amore e fantasia”, e il melodramma italiano dell'Ottocento veniva adorato, ma solo in questa chiave, e mai fuori dai binari del repertorio; dall'altra, tale repertorio veniva considerato un male necessario per la vita dei teatri lirici, e al di fuori di esso, in tale melodramma italiano, si considerava esistesse una sorta di hic sunt leones ove nessuna s’avventurava.

Rubino Profeta ci s'avventurò, invece, con gusto, fiuto, competenza, intelligenza e fortuna. Chi avrebbe dato un soldo bucato per la Zelmira di Rossini o per il Roberto Devereux di Donizzetti? Ci voleva molto coraggio, in quegli anni pionieristici. Oggi l'ultimo scribacchino ti sentenzia superciliosamente che l’Otello di Rossini sia superiore a quello di Verdi, all’ora dell’Otello di Rossigni non si voleva nemmeno sentir parlare…. Perciò, il merito di Rubino Profeta è stato innanzitutto quello, di per se impagabile, di aver avuto delle idee (che poi siano state idee da precursore, è di più); e poi di averle applicate come nessuno ha più saputo. Si dirà: è stato il primo, ha avuto la pesca più facile. Bravi: e voi dov’eravate, mentre lui pescava?

Resta il fatto che l'elenco delle opere del primo Ottocento italiano riportate alla vita da Rubino Profeta è impressionante: non per il numero, ma perché si tratta, puramente e semplicemente del meglio di ciò che si trovava fuori dal repertorio; solo un gusto d'incredibile sicurezza, fra decine, se non centinaia, di partiture, poteva scegliere così. Vogliamo ripeterlo; affidandoci semplicemente alla memoria personale? Dalla Zelmira, già ricordata (che personalmente considero forse il miglior saggio di Rossini nell'opera tragica italiana, e che nessun teatro ha poi osato riprendere) a quel gioiellino ch'é Elisa e Claudio di Mercadante, dalla Saffo di Pacini al Devereur al Belisario, alla Caterina Cornaro di Donizetti, dallo Stiffelio di Verdi a quel Diluvio Universale, sempre del suo amato Donizzetti, di cui per anni egli m'ha parlato con un fervore commovente e di cui la crudeltà della sorte gli ha impedito di ascoltare l'imminente esecuzione, per anni attesa.….. Convienine, caro direttore, tu che sei anche un esperto e smaliziato ascoltatore di teatro musicale, chi altro può vantarsi d'aver infilato una simile collana di successi? Oggi gli snobs lirici di tutt'Italia accorrono a Pesaro per ascoltare i loro divini Abbado e Pollini dirigere Un viaggio a Reims e La donna del Lago di Rossini e dichiarare ch’è musica migliore del Fidelio e del Tristano, ma se non ci fosse stato Rubino Profeta forse questi eventi non si verificherebbero. Tanto va detto pro veritate.

E allora come mai quest'anno non è diventato uno dei numi tutelari della musicologia internazionale, o almeno italiana? Innanzitutto perché ha avuto la sfortuna  d'arrivare troppo presto; fra le altre ragioni voglio citarne almeno una che lo rendeva carissimo a me e ad altri, come il grande Vincenzo Vitale. Rubino aveva la disgrazia che la sua lingua non fosse un inglese universitario da pescelesso o uno slang ebraico-nuova-yorckese: col che, il vento gli sarebbe stato sempre in poppa. Era, semplicemente, un napoletano verace; il suo dialetto era così spontaneo, così colorito, così plastico - specie quando con esso affrontava ardui temi di cultura o di tecnica musicale - da farne un vero personaggio. Ad altri occhi questa sua qualità rappresentava un limite: essere napoletani di talento e restare a Napoli è già un guaio, peggio ancora trattare senza sussieguo le proprie faccende professionali!

Io mi auguro che i teatri italiani mostrino gratitudine per un musicista che ha dato loro tanto: eseguendo, nella sua revisione, qualcuna delle opere da lui riscoperte. Per ora ti ringrazio dell'ospitalità su di un tema a mio parere doveroso e ti abbraccio. Credimi. Tuo

Paolo Isotta

 

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